Mario Ridolfi il mestiere di architetto
realizzato da Gustavo Caprioli - Terni, 1998
testi di G.Caprioli e P.Margheriti - 1983 - foto di G.Caprioli - 1983
testi, immagini e sito web sono di proprietà dei rispettivi autori

"... Non si può mai approfondire un argomento se non lo si vive. Ho sempre detto che non so come facciano i critici a chiacchierare tanto degli architetti e non stanno dentro gli architetti stessi, non hanno sofferto, vissuto questo periodo....". Questa affermazione di Mario Ridolfi sembra scoraggiare qualsiasi tentativo di comprensione della sua opera, ma ad una lettura meno superficiale contiene la chiave del suo essere "enigma" nella storia dell'architettura. Egli afferma l'impossibilità di una conoscenza storica in senso diacronico dell'architettura: non si può interpretare un oggetto per ciò che è stato in un certo periodo, ma solo per ciò che rappresenta adesso. La storia dell'architettura non può ricostruire il passato, può solo reinventarlo perché le persone sono inevitabilmente fuori dalla possibilità di vivere e di parlare, ma le cose, le pietre rimangono a testimoniare il passaggio del tempo. L'architettura nasce come evento, ma con il tempo diventa un oggetto muto, che entra a far parte del patrimonio della memoria, che non vive in uno spazio scandito cronologicamente, ma in una dimensione spazio-temporale nella quale i luoghi, le persone, le architetture antiche e recenti si sovrappongono generando infinite associazioni. In questo contesto le architetture storiche sono "permanenze" e sono vive in quanto appartengono al presente, alla realtà. Purini paragono la Storia dell'architettura ad una persona in piedi, accanto al tavolo da disegno, di cui si sente necessaria la presenza, ma che non può ne ascoltare, ne rispondere. Ridolfi non solo sente questa presenza ma la vive. Infatti la storia dell'architettura per Ridolfi è fatta di fatti concreti, tangibili, di soluzioni tecniche.